
Andare
in giro in bicicletta concilia spesso la riflessione, offre
spunti per nuove idee e la calma per la rielaborazione di quelle
vecchie. Quando si esce da soli, la quiete della campagna è
lo scenario ideale per immergersi nei propri pensieri, mentre
le uscite di gruppo danno la possibilità di scambiare
le opinioni con i compagni di pedali, confrontandosi, nell'arco
di qualche ora, sui temi più disparati. In un caso e
nell'altro, non essendovi alcuna forma di tensione agonistica,
di concentrazione su risultati sportivi, il tempo e la calma
per ragionare durante la passeggiata non mancano di certo.
Se solo il tempo a mia disposizione fosse maggiore, dovrei scrivere
una pagina di diario per ogni uscita in bici, per registrare
tutte le impressioni ricevute, le sensazioni che mi sono rimaste
dentro. Questa pagina è proprio una specie di diario,
a dire la verità piuttosto saltuario, in cui sono raccolti
pensieri in libertà nati gironzolando in bicicletta,
pensieri non per forza di natura "ciclistica". Praticamente
un blog? Chiamatelo come volete, in italiano esiste la parola
"diario", e mi basta.
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Sommario:
Il ciclista ha sempre ragione?
23 settembre 2007
Ancora due parole sulla caccia
11 settembre 2007
Sugli itinerari cicloturistici della Provincia di Lecce
23 agosto 2007
Succede a mare
10 agosto 2007
Gioie(?) e dolori della toponomastica stradale
5 luglio 2007
Il ciclista e il cacciatore
8 maggio 2007
La "cultura" della discarica abusiva
28 marzo 2007
Cicloturismo sulla via San Cosimo
24 marzo 2007
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Un autunno in bici
9
gennaio 2008
Ogni
volta che cominciavo a pensare di scrivere qualcosa riguardante alcune
uscite di gruppo in bici fatte negli ultimi mesi, se ne presentava un'altra
da fare, facendo slittare di volta in volta il mio proposito. Ora, forse,
ci siamo... l'autunno s'è concluso da un bel pezzo!
La prima di queste uscite è caduta nell'autunno "astronomico",
ma in pratica eravamo ancora in estate, quell'estate che qui nel Salento
sembra non aver voglia di finire mai. Una luminosa domenica 23 settembre,
in collaborazione con il Circolo "Tandem" di Leverano abbiamo
organizzato una piccola gita pomeridiana verso la Valle della Cupa,
alla scoperta di alcune tra le più belle ville gentilizie della
zona. Partenza da Leverano, e sosta prima ad Arnesano, poi a Monteroni
dove, grazie alla cortesia dei proprietari, abbiamo visitato la villa
De Giorgi, con il suo straordinario parco. Unico sintomo di un autunno
ormai alle porte, il tramonto, rapido e tiranno, che ci ha costretti
a ridurre ad un fugace passaggio la prevista sosta a villa Saetta. Rientro
a Leverano via Copertino, tanta allegria ed il proposito implicito di
tornare a visitare quei posti con più calma.
Il 30 settembre, la mega-uscita con i Cicloamici di Lecce, in occasione
di "Benvenuta Vendemmia" 2007. Queste occasioni sono garanzia
di grande partecipazione e divertimento assicurato... partenza da Lecce
e soste "vinicole" in varie
cantine di Salice, Sandonaci e Cellino San Marco, contraddistinte dalla
consueta gentilezza e disponibilità da parte dei gestori
(ahi, cantine di Copertino, arriverà mai il giorno in cui anche qualcuna
di voi aderirà a queste manifestazioni?). Alla fine
i chilometri sono stati una settantina, ma la compagnia e l'entusiasmo
(...e l'incoscienza, tipica degli avvinazzati) ci hanno aiutati a percorrerli
tutti senza troppi problemi. Memorabile la discesa mozzafiato dalla
serra di Sant'Elia, lungo la strada vicinale che ci ha portato da Cellino
a Campi Salentina!
Il 7 ottobre non si replica: il tempo inclemente non consente
nemmeno uscite "in solitaria". E' l'inizio effettivo di un autunno
che sarà continuamente funestato dal maltempo.
Intanto, ho preso l'impegno con i Cicloamici per organizzare due percorsi:
un Copertino-Galatina, al fine di raggiungere e visitare la bellissima
chiesa orsiniana di Santa Caterina d'Alessandria, e un'escursione nella
zona dell'Arneo. Prima, però, domenica 14 ottobre organizziamo
una piccola gita verso il mare. La mattina partiamo
dal Castello di Copertino: un gruppo radunatosi per l'occasione, eterogeneo
ma che non tarderà ad affiatarsi. Non siamo tutti di Copertino,
e per qualcuno le strade che percorriamo per raggiungere Porto Cesareo
sono una simpatica novità. All'andata facciamo quello che, nelle
mie intenzioni, dovrà essere riportato in questo sito come il
percorso PC1, un tracciato che, dopo essersi
dipanato nelle campagne tra Leverano e la statale Nardò-Avetrana,
deve attraversare un breve tratto all'interno di una campagna. Con mia
sorpresa ho notato che l'accesso a questa campagna è stato ostruito
con un orribile cumulo di materiale di risulta, probabilmente con il
doppio scopo di bloccare il passaggio (peraltro già impossibile
per i mezzi a motore... dunque è stato messo per le bici?) e di non perdere il vizio
di gettare un po' di robaccia in campagna, una malvezzo tipico delle nostre
parti, e non solo. Fortunatamente il mucchio di macerie non si rivela
insormontabile e lo sbocco al mare è così assicurato.
E' un piacere entrare a Porto Cesareo direttamente dalla spiaggia, arenandoci
con le bici nella sabbia sotto gli sguardi curiosi e pigri di quanti
sono venuti a farsi una comoda passeggiata in macchina con i vestiti
della festa! Breve pausa per rifocillarci, puntata alla "Strea"
e risalita verso l'interno, lungo uno sterrato duro, ripido e pieno
di pozzanghere enormi!
Il sabato successivo un drappello di Cicloamici
raggiunge Copertino (chi in auto, chi in bici da Lecce!) per l'escursione
a Galatina. Giornata grigia, ma alla fine non è piovuto.
Ci tengo a dire che a Galatina funziona, e anche
abbastanza bene, un ufficio di informazioni e accoglienza turistica
in grado di fornire non solo indicazioni ma anche supporto logistico
ai visitatori della cittadina. Sono stati loro a metterci in contatto
con Francesco, una guida giovane, preparata e simpatica che ci ha condotti
alla basilica, ma... la chiesa era occupata per un matrimonio,
finito poco prima dell'orario di chiusura. Morale: il tempo che c'è
stato concesso per ammirare gli splendidi affreschi quattrocenteschi
all'interno della basilica è stato di circa un quarto d'ora!
Abbiamo affogato la delusione nei rustici e nei dolci di uno dei bar
"storici" di Galatina, prima di intraprendere il viaggio ritorno.
Una breve sosta al complesso masserizio "Il Duca" si è
trasformata in un'esplorazione di quell'imponente struttura, ormai abbandonata da anni:
la chiesetta, i saloni, le stalle, gli alloggi, i terrazzi... sarà
sfuggito qualcosa ai nostri occhi curiosi? Infine, prima di rientrare
a Copertino, una sosta all'azienda agricola Rolli, dove il buon Bruno
ci ha preparato una degustazione dei suoi prodotti, intrattenendoci
non solo con discorsi sulla coltivazione della terra, ma anche sul fascino
della vita all'aria aperta. Poi ci ha portati sul campo (in senso letterale!)
a vedere le verdure piantate e a... raccoglierle!
Più di uno se n'è tornato a casa con gli zaini pieni di
cicorie e con le bottiglie di vino che facevano capolino dai portaoggetti
della bici! Un grazie particolare, per quella giornata, al mio amico
Francesco, che ha rimandato di un giorno la ripartenza per Verona per
venire con noi in bici.
Non c'è tempo di riposarsi: l'indomani è in programma
"Arrivederci Estate", la manifestazione cicilistica dell'Associazione
Casello 13. Mi occupo anche in questo caso della definizione del tracciato,
che deve essere adeguato alla presenza di bambini e di persone poco allenate in generale.
Faremo dunque un giro nelle campagne a est del paese, una ventina di
chilometri in tutto. A differenza del giorno precedente, però,
questo 21 ottobre comincia a piovere. Siamo appena arrivati alla Grottella
quando cadono le prime gocce ma, dopo un'iniziale titubanza, decidiamo
di proseguiire alla volta della chiesa del Pozzino, nei pressi di San
Pietro in Lama. Siamo una ventina di persone, di tutte le età;
ci sono anche gli amici di Leverano... avremmo preferito che il tempo
avesse riservato loro un'accoglienza meno inospitale! Arrivati al Pozzino,
smette di piovere... era ora! Mi vergogno un po', ma devo ammettere
che il sottoscritto, autore di un sito di percorsi alternativi, sterrati
et similia, non si era mai ritrovato a dover pedalare fuori paese sotto
tanta pioggia! Ci rimettiamo in sella, e ricomincia a piovere, indubbiamente
c'è qualcosa che non va. Arriviamo alla masseria Mollone, dove
"Casello 13" ha organizzato un bel pranzo, un banchetto, direi.
Smette anche di piovere (ma dai!). Una bella tavolata al coperto, cibo
e vino a volontà, il maltempo non sembra non fare più
paura. Ci alziamo da tavola tranquilli: siamo solo a poco più
di 4 km dal centro del paese e ci attende un breve rientro... Invece,
appena ripartiamo, ecco che ricomincia a piovere: rapidamente viene
giù un acquazzone terribile, che trasforma il tratto da Mollone
a Copertino in una corsa contro il tempo, non so se più disperata o scanzonata, in
cui non si sa se pensare ai vestiti inzuppati o a ridere per la situazione
paradossale... sì, perché quando alla fine arriviamo a
casa ridotti come pulcini, smette nuovamente di piovere. Da non crederci! [CONTINUA...]

Il ciclista ha sempre ragione?
23
settembre 2007
Domanda
retorica con risposta scontata: ovviamente no. In Italia abbiamo avuto
un personaggio che pretendeva di avere sempre ragione... i fatti, poi,
hanno inevitabilmente dimostrato l'esatto contrario. Tuttavia, a parte
simili casi mostruosi, nessuna persona pensante può, in coscienza,
ritenersi depositaria della verità assoluta e della piena infallibilità.
Neanche il ciclista, questo tranquillo, silenzioso, ecologico utente
della strada.
Strano, forse, veder scrivere questa cosa in un sito, e in una pagina
in particolare, in cui la causa dei ciclisti è sempre difesa
strenuamente. Certo, di tutti i guidatori di mezzi in circolazione,
il ciclista è il più indifeso, quello che ha immancabilmente
la peggio in un eventuale sconto con un'auto o un camion, ma anche con
una moto o uno scooter. L'atteggiamento di molti automobilisti nei confronti
delle biciclette è spesso arrogante, a volte irresponsabile,
frutto di un'errata educazione stradale (e non). Ma è anche dovere
del ciclista prendere le dovute precauzioni, sapendo di dover coabitare,
sulle strade, con simili pericoli. E' di ieri la notizia che l'ennesimo
ciclista è stato travolto e ucciso da un'auto, sulla Guagnano
- San Pancrazio. Sono sgomento e atterrito da notizie come questa, verrebbe
quasi voglia di scendere di sella e accomodarsi in poltrona, lontano
dai rischi della strada. Poi, però, basta pensarci un attimo:
quel tratto di strada è un segmento della statale Lecce - Taranto.
Sembra impossibile che i due capoluoghi siano connessi da una strada
così disastrata che attraversa in pieno quasi una decina di paesi,
ma questo è un altro discorso... Dicevo: il malcapitato percorreva
una stretta e trafficata strada statale, nonostante i due paesi siano
collegati anche da svariate stradine secondarie. Che cosa spinge allora
il ciclista a scegliere il percorso più pericoloso tra quelli
disponibili? La fretta? Molti usano la strada principale perché
è la più dritta (...o la meno contorta) per spostarsi
da un luogo all'altro; a volte, però, fare un paio di chilometri
in più optando per un percorso alternativo può salvare
la vita. La "paura" delle campagne? Sì, case rurali
con cani resi feroci dai padroni e talvolta lasciati slegati, cacciatori
che sparano vicino alle strade, buche immani nell'asfalto... ma quasi
nessuno ha mai lasciato la pelle su una stradina di campagna, mentre
gli incidenti più gravi avvengono sulle strade principali o nel
traffico cittadino. L'ignoranza riguardo ai percorsi alternativi? ...Anche,
e soprattutto! Molti percorsi secondari, perfettamente fruibili, sono
semisconosciuti persino agli amministratori locali (vedi la pagina di
diario sui percorsi cicloturistici della Provincia di Lecce), figuriamoci
ai privati cittadini. Spero che questo sito, nel suo piccolo, possa
dare un contributo a colmare questa lacuna, suggerendo sempre una o
più alternative alle strade provinciali e statali.
E' ovvio, quindi, che con un po' di attenzione e di prudenza da parte
di tutti certe tragedie non accadrebbero, ma è pur vero che il
ciclista, conscio dei pericoli che corre e del fatto di essere praticamente
un fuscello alla mercé dei mezzi a motore, dovrebbe, anche solo
per puro spirito di sopravvivenza, vagliare e selezionare bene i percorsi
su cui muoversi. Resta un'altra categoria che delle strade principali
non riesce proprio a fare a meno: i ciclisti da strada (anzi, visto
che tutti i ciclisti usano le strade per muoversi, precisiamo meglio:
i ciclisti "con le bici da corsa"). Il loro mezzo li obbliga
a scegliere strade bene asfaltate, sulle quali raggiungere ritmi elevati
e percorrere parecchi chilometri. Bene, ma anche in questo caso una
scelta più oculata dei percorsi può in molti casi rivelarsi un
modo per sottrarsi a rischi inutili. E poi, perché alcuni gruppi
di ciclisti piuttosto numerosi pedalano affiancati sulle strade principali,
discorrendo amabilmente e costringendo gli automobilisti a manovre a
volte azzardate nel tentativo di sorpassarli? Uno dei motivi che mi
fanno prediligere le strade di campagna è proprio il fatto di
poter scambiare due parole con qualcun altro, senza dover viaggiare
in fila indiana. Ma sulle strade principali, la fila indiana dovrebbe
essere d'obbligo, anche quando si possiede una bici da 3000 euro!
Infine, un'altra categoria di ciclisti "forzati": sono tutti
quei bambini cresciutelli che usano la bicicletta solo per compiere
evoluzioni e manovre azzardate, per impennare e fare lo slalom tra le
auto, non avendo riguardo per i pedoni, per le precedenze e neanche
per le regole della buona creanza. Sono solo una parte dei ragazzini
di quell'età, grazie al cielo, ed in particolare sono tra quelli
che non hanno ancora l'età per avere lo scooter e scalpitano,
allenandosi nel frattempo a fare i deficienti a pedali, in attesa di
un propulsore 50cc che dia maggiore spinta e migliore comfort al proprio
esibizionismo. Arriverà il giorno in cui genitori premurosi li
doteranno dell'agognato scooter, regalo per la promozione (o magari
per la bocciatura!) e da quel giorno, statene certi, la bici finirà
in garage a fare le ragnatele.
Ancora
due parole sulla caccia
11
settembre 2007
Sarà
monotono tornare sempre sugli stessi argomenti, ma sentivo l'esigenza
di scrivere altre due brevi note sull'argomento "caccia".
La prima: la stagione venatoria si è aperta l'1 settembre; eppure,
il 29 agosto scorso pedalavo tra Nardò e il mare, verso la masseria
"Carignano", ed ho sentito distintamente e ripetutamente il
rumore degli spari di qualche cacciatore. Voglio pensare che avesse
in tasca un certificato medico, o qualcosa di simile... difatti, una
così pressante frenesia di imbracciare l'arma prima del consentito
può avere solo del patologico, a meno che questa gente non lo
faccia per sfamarsi, ma siamo nel XXI secolo, e ho motivo di dubitarne.
La campagna brulica di gente che coltiva, edifica, passeggia, pedala...
e i cacciatori che fanno? Tengono compagnia a tutti con il "caro"
frastuono dei loro spari e il continuo pericolo dei loro pallini, all'interno,
ma anche al di fuori dei periodi consentiti.
La
seconda storia, adesso... e qui l'aggettivo "patologico" lo si
deve usare per forza. Questo sito, un po' come tutti, o quasi,
possiede un "counter" che non tiene solo il conto del
numero di visitatori, ma fornisce anche alcune caratteristiche
sugli stessi. Fra le altre cose, segnala anche se un visitatore
è pervenuto al sito partendo dal risultato di una ricerca
effettuata su un motore, tipo Google per intenderci. Ebbene, un
signore oggi pomeriggio ha cercato con Google le seguenti parole:
"cacciare sparando dalla bicicletta" e da lì
è approdato in questo sito e, in particolare, in questa
pagina, che oltretutto non è proprio benevola verso chi
pratica la caccia. Ma la cosa più allarmante è chiedersi
cosa voglia combinare questo individuo che cerca di documentarsi
su come "cacciare sparando dalla bicicletta". Ma chi
è? Il sagittario dei giorni nostri? Una creatura mitologica
con le ruote di bicicletta, il busto d'uomo e la testa di -----?
Provo ad immaginare questo tizio che spara dalla sella della bici
(vedi la vignetta a lato, del mio amico Achille), poi dovrà
pur andare a recuperare la selvaggina... ma come? Sempre in bici?
Più cerco di penetrare i meccanismi di questa mente, più
affondo in molteplici e tremende incongruenze: in questi casi
si fa davvero fatica a capire cosa sia capace di concepire la
psiche umana, specie quando è evidentemente alterata.
|
|
Il "bizzarro" visitatore, per fortuna, sembra non risiedere
nel Salento (il collegamento proveniva dal Nord),
quindi stiamo tranquilli: dovremmo essere al riparo dalle scorribande
del ciclomoschettiere dal grilletto facile.

Sugli
itinerari cicloturistici della Provincia di Lecce
23
agosto 2007
Capita
a volte, di conversare con qualcuno e scoprire di avere a che fare con
un altro cicloamatore, più o meno accanito, e magari capita che
questi parli dei propri giri facendo riferimento unicamente agli itinerari
cicloturistici ideati dalla Provincia di Lecce qualche anno fa. Un'operazione,
questa della Provincia, lodevole e ben nota: si tratta di 16 percorsi
a tema, indicati sul territorio con una segnaletica ormai familiare
costituita da cartelli stradali e indicazioni sull'asfalto. Per l'occasione
è stata sfruttata e rivalutata parte della rete viaria secondaria
(ma non solo, come vedremo), ed in molti casi l'operazione ha procurato
un lungamente atteso riassetto e un nuovo manto d'asfalto a diverse
stradine di campagna. Finalmente, cioè, nel Salento si sono voluti
aprire gli occhi sul mondo del ciclismo "popolare" e non agonistico,
sulla necessità di un turismo sostenibile, sui vantaggi della
rete viaria secondaria. Chapeau.
Tuttavia, quando mi si chiede se i percorsi che normalmente batto con
la mia bici e che sto lentamente riversando in questo sito sono quelli
della Provincia, la mia risposta è: "Raramente. In ogni
caso, l'approccio è del tutto personale". C'è una
prima spiegazione... sono un ciclista copertinese e non dotato di molta
autonomia: soltanto uno dei percorsi della Provincia interessa Copertino
e se, noiosamente, dovessi fare sempre e solo questo, starei fresco.
Il bello è cambiare di volta in volta. Ma c'è di più:
"Salento in bici" si sforza di dare un quadro più completo
possibile delle risorse della viabilità secondaria locale. Per
fare un esempio semplice, non si limita pigramente a descrivere un modo
per andare da Copertino a Leverano, ma ne indica tre; e ancora, quattro
modi per raggiungere Monteroni, tre per Collemeto, eccetera... oltre
alle numerose varianti. Non c'è, cioè, soltanto il fine
"turistico" di raggiungere le varie località, ma anche
quello di scoprire a fondo il proprio territorio, esplorando l'intera
rete delle stradine rurali, spesso sterrate, e inoltrandosi magari in
contrade sperdute e semisconosciute. In questo sito, inoltre, sono presenti
delle cartine dettagliate corredate da descrizioni, spero, altrettanto
dettagliate. Invece leggo in uno degli itinerari della Provincia frasi
tipo:
"L'itinerario
inizia dalla Masseria Li Monaci, un tempo attiva azienda vitivinicola,
dove visitare la Cripta di S. Michele Arcangelo, del X-XI secolo e la
Torre, in agro di Copertino, dove uliveti secolari e ampi vigneti, disegnano
le caratteristiche ambientali dell'itinerario. Seguendo la Strada Comunale
parallela alla S.P. per Copertino, si giunge al Convento di S. Maria
della Grottella, a circa 2 Km. dall'abitato di Copertino."
A parte il fatto che la masseria Monaci di Copertino è tuttora
un'avviata azienda vinicola, qualcuno mi spieghi se l'itinerario parte
dalla masseria Monaci o dalla masseria La Torre, che non sono per nulla
vicine tra loro e sono raggiungibili da strade completamente diverse.
Quale "strada comunale" occorre seguire? Quale "S.P.
per Copertino"? Come si giunge al Santuario della Grottella, che
dista vari chilometri? Tutto è lasciato nel vago: chi conosce
le strade di Copertino sa che questa descrizione è estremamente
lacunosa e in grado solo di far perdere la bussola al volenteroso ciclista
che queste strade non le conosce, condannandolo a pedalare per chilometri
prima di trovare qualcuno che finalmente gli indichi la via giusta.
Spero che esistano delle mappe decenti a corredo (l'unica salvezza di
questi itinerari), ma francamente non ne ho mai visto l'ombra. Un'altra
pecca di quei percorsi, altrettanto grave (sicuramente più subdola
e pericolosa) è il fatto che il nobile proposito di utilizzare
le stradine di campagna è stato di tanto in tanto accantonato
per migrare verso soluzioni più "sbrigative" come quella
di dirottare gli itinerari sulle strade provinciali. Perché mai?
Avevano terminato i soldi per recuperare e asfaltare le strade rurali?
Incompleta conoscenza del territorio da parte degli ideatori? Boh, nessuno
verrà mai a spiegarcelo...
Ma è assurdo, anzi da incoscienti, far andare la gente
in bici da Carmiano a Copertino mandandola sulla relativa strada
provinciale mentre, come provato anche da questo sito in una pagina
che presto vedrà la luce, esiste il modo per arrivarci
esclusivamente attraverso strade di campagna! Certo, si sarebbero
dovuti asfaltare 300 metri di sterrato e riempire un po' di buche...
Molto più economico e sbrigativo, a quel punto, dipingere
delle biciclette bianche sull'asfalto della trafficatissima provinciale
per avvisare automobilisti, motociclisti e camionisti distratti
della compresenza di un percorso cicloturistico e per sentirsi
in pace con la propria coscienza, spedendo però decine
di ciclisti ignari a rischiare il contatto con mezzi pesanti lanciati
a tutta velocità. Amen.
|
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Qualcosa
di simile, forse anche più abominevole, accade sulla litoranea
adriatica dalle parti di San Foca, già di per sé pericolosa
per le auto, sulla quale ho potuto notare le tipiche biciclette bianche
disegnate sull'asfalto. Forse ci si può passare in sicurezza
alle ore 14 di un lunedì di gennaio... forse! Ma per il resto,
pedalare su quella strada durante la bella stagione è altamente
rischioso e, quantomeno, non dovrebbe essere incoraggiato dalle istituzioni
come invece accade!
Per questi motivi "Salento in bici" e gli itinerari della
Provincia sono cose diverse. I percorsi possono anche in parte coincidere
(e quando accade lo indico), d'altronde le strade utilizzate esistono
da prima, non le ho certo inventate io, né chi ha preparato gli
itinerari della Provincia! In entrambi i casi, inoltre, lo spirito è
quello di consentire di attraversare il Salento in bicicletta alla scoperta
delle sue bellezze, evidentemente con qualche differenza sull'interpretazione
del concetto di "sicurezza". Le analogie finiscono qui. In
questo sito si cerca di esplorare e sfruttare l'intera rete delle stradine
rurali di Copertino e limitrofi, mentre gli itinerari della Provincia
indicano solo alcune delle strade praticabili ed in diversi casi ricorrono
troppo facilmente alla viabilità ordinaria, ma in compenso coprono
un'area decisamente più vasta. I percorsi presentati qui sono
accompagnati da cartine e descrizioni piuttosto puntuali, quelli della
Provincia sono illustrati in maniera decisamente più sommaria.
La Provincia può asfaltare strade e collocare la segnaletica
sul territorio, "Salento in bici" non può fare altro
che proporre cartine e descrizioni, magari denunciando di tanto in tanto
lo stato miserando di alcune vie, sperando che chi di dovere se ne accorga
e provveda. "Salento in bici" non è un sito istituzionale,
né è fonte di guadagno per chi lo ha creato e lo sta implementando:
non c'è nulla, dunque, che abbia il tono dell'ufficialità,
ma si può avere la certezza che sulle strade descritte qui qualcuno
è andato a pedalarci davvero e quindi ora può dare qualche
consiglio o avvertimento agli altri potenziali visitatori.
Gli itinerari presenti qui, pertanto, non sono antitetici a quelli elaborati
dalla Provincia di Lecce: i primi sono solo, a seconda dei casi, un
aggiustamento, un'integrazione o un approfondimento dei secondi, il
tutto condotto sempre con la massima umiltà. E chissà
che un giorno, sulla scorta dei consigli spassionati di tanti amici
pedalatori (per fortuna siamo in tanti!), anziché dell'apporto
non gratuito di certi "cartografi" da tavolino, la Provincia
non decida di apportare piccoli ma sostanziali miglioramenti ai propri
itinerari. Gliene saremmo grati!

Succede a mare
10
agosto
2007
Ieri
sera ho appreso da un tg locale che una parte della sommità di
Torre Squillace è crollata. Torre Squillace si trova sulla costa
di Nardò ed è meglio nota, nella zona di Copertino e limitrofi,
coma la "torre di li Scianùli", avamposto di un grosso
agglomerato di abitazioni estive tra Sant'Isidoro e Porto Cesareo, spesso
al centro di polemiche per l'assenza di servizi anche elementari e la
latitanza delle istituzioni. Una torre maestosa, possente, appartenente
alla generazione di torri di guardia costruite ex novo durante il riassetto
delle difese costiere del sud Italia voluto da Carlo V nel XVI secolo,
fatta "a stampo" (un po' come le stazioni della Sud-Est!)
con le gemelle torri Santa Caterina, dell'Alto, Sant'Isidoro, Chianca,
Lapillo e Colimena, ma forse meno nota di queste perché posta
lontano dalle strade principali. Sarà stato questo, o forse la
sventura di non avere un custode o di non ospitare la sede di qualche
ente o associazione, ma sta di fatto che questa è stata la torre
che più delle altre ha sofferto dell'incuria, anche in epoche
recenti. Una "scheda" della torre è disponibile a questo
link,
con le foto prima del crollo di ieri, che ha interessato l'angolo che
ospitava la guardiola.
Di quale tutela si può parlare se era possibile accedere liberamente
all'interno, al piano superiore, "affrescato" da scritte vandaliche
e "arredato" da rifiuti vari? Alla fine è accaduto
l'ineluttabile (e l'irreparabile) e, se il buon giorno si vede dal mattino,
prevedo che sarà quantomeno improbabile che, un giorno, vengano
avviati lavori di ricostruzione della parte crollata e di consolidamento
di tutto il resto.
Un'altra notazione, per fortuna meno triste. Nella "pagina di diario"
sottostante ("Gioie e dolori...") abbiamo parlato del fatto
tragicomico dell'esistenza di una "via San Tommaso d'Acquino",
con tanto di "C", alla periferia di Porto Cesareo. Tra le
ipotesi, ovviamente scherzose, dello sfregio storico/geografico, indicavo
una possibile confusione con la più recente figura di Salvo d'Acquisto,
martire della Resistenza cui negli ultimi decenni sono state intitolate
vie in moltissimi comuni d'Italia. Beh, non ci crederete, ma l'impensabile,
inquietante errore inverso, ipotizzabile solo per burla, è stato perpetrato
veramente, sempre a Porto Cesareo: esiste anche una "via S. d'Aquisto"
(senza la "C"!!!), una traversa della Nardò - Avetrana non lontana
dal semaforo sull'incrocio per Veglie, punto di passaggio di frotte
di turisti. Naturalmente in questo periodo è piuttosto difficoltoso
fermarsi lì per scattare una foto, ma fornirò le prove
del misfatto appena possibile. Data la sistematicità del fatto,
siamo dinanzi alla follia o all'opera di qualche buontempone. Stavolta
non riesco davvero a dare altre spiegazioni, neanche scherzose.

Gioie(?)
e dolori della toponomastica stradale
5
luglio 2007
In
queste righe vorrei raccogliere, senza nessuna pretesa di organicità,
alcune considerazioni sulla toponomastica stradale, copertinese e non.
Premetto che non conosco esattamente tempi, modi e persone dell'ultima
commissione incaricata dell'assegnazione dei nomi alle nuove vie di
Copertino, quindi magari scriverò cose sbagliate e/o incomplete.
In ogni caso, c'è da restare allibiti dinanzi ad alcune decisioni.
Si è voluta fare una scelta di sano campanilismo attribuendo,
correggetemi se sbaglio, i nomi di alcune strade ad altrettanti "mesci",
validi artigiani copertinesi scomparsi negli ultimi anni, in ricordo
di tradizioni e abilità che, soffocate dagli usi della vita moderna,
sono quasi del tutto scomparse. Ed ecco la periferia del paese popolarsi
di vie intitolate a non meglio precisati Raffaello Verdesca, Salvatore
Troso, Giuseppe Raganato, eccetera, senza nessun'altra indicazione che
ci aiuti ad identificarli! Non lo so, si sarebbe potuto scrivere, dico
a caso... "arrotino (1890-1972)", oppure "mastro carpentiere
(1912-1998)", e via dicendo. Niente di tutto questo. A Copertino
è così: una cosa o la sai (o la capisci al volo), oppure
nessuno verrà mai a spiegartela. La commissione ha agito senza
nessuna evidente interazione con la popolazione, senza ascoltare istanze
o suggerimenti dei cittadini, e questo modo di agire si riflette anche
in questi ermetici cartelli stradali recanti nomi tanto familiari nel
suono quanto oscuri se non accompagnati da dati biografici essenziali.
Chi mai sarà l'eponimo "Giuseppe Raganato"? Vado a
vedere su www.paginebianche.it gli abbonati con questo nome, piuttosto
diffuso a Copertino: in paese trovo ben sei omonimi, ed ho cercato soltanto
tra i viventi ed intestatari di linea telefonica! Se consideriamo l'intera
storia di Copertino, ce ne saranno stati centinaia...!
Non basta: non bisogna dimenticare che le didascalie sotto ai nomi dei
personaggi, anche dei più noti, sono sempre molto istruttive.
Dire "via Evangelista Torricelli - Scienziato (1608 - 1647)"
può risultare nuovo e utile per molti, ma non fingiamo di ignorare
che persino "Giuseppe Garibaldi - Condottiero (1807 - 1882)"
può essere una nozione non banale per più d'uno. Qualcosa
del genere accadde nei primi anni '90, all'epoca di un'altra revisione
della toponomastica copertinese, quando ad esempio si intitolarono numerose
vie a monarchi più o meno noti del Regno del Sud, in varie epoche.
Sui cartelli furono scritte, e fanno tuttora bella mostra di sé
in alcuni quartieri, didascalie e date, ma evidentemente quella lezione
è rimasta lettera morta negli anni a seguire.
Sempre a proposito di quei primi anni '90, ricordo il mio sconcerto
nel vedere istituita una "via Imperatore Adriano" a Copertino,
ad imitazione del noto viale di Lecce. Il fatto è che lì
nel capoluogo, anche se molti non lo sanno, quel nome ha un senso: è
il tratto iniziale di quella via del mare che conduce a San Cataldo,
l'antico "Portus Adrianus" voluto appunto da questo illustre
personaggio storico. A Copertino, per emulazione e senza altro motivo,
si è voluta creare una via con lo stesso nome... ma proprio lo
stesso identico (visto che il personaggio poteva essere chiamato anche
"Adriano", "Adriano imperatore", "Publio Elio
Traiano Adriano", ecc.), a testimonianza di un'imitazione pedissequa
e del tutto insensata. Un giorno si inventeranno una "via Montenapoleone"
o magari una "Trafalgar Square"...! Caspita - diranno - a
Londra ce l'hanno, perché noi no?
Ma
torniamo ai giorni nostri. Percorro via Corsica, ossia la strada
per Nardò, e in piena periferia leggo il cartello "via
Giuseppe Calasso". Una traversa asfaltata da poco, ex appezzamento
di campagna lungo non più di 100 metri e soprattutto con
la caratteristica di non avere case che vi si affacciano, ma solo
muri laterali o di cinta. La vediamo nella foto satellitare a
destra, evidenziata in giallo: è lunga poco più
di un campo da tennis!
Giuseppe Calasso è stato una figura chiave dell'antifascismo
e del dopoguerra a Copertino. Più volte sindaco del paese
e deputato alla Camera, è stato in prima fila in mille
battaglie di civiltà contro i potentati locali e contro
le secolari ingiustizie che questi hanno inferto alle popolazioni
del Salento. Uomo di parte, indubbiamente, osannato da molti e
avversato da altrettanti, ma, insieme alla moglie, l'unico parlamentare
espresso nella storia della Repubblica da un centro pur popoloso
come Copertino. Insomma, un personaggio importante, una figura
a colori che spicca tra tante scialbe ombre che pure si sono meritate
l'attribuzione di vie importanti e centrali nel paese, magari,
come è successo, carneadi forestieri assurti alla carica
di sindaco senza essere nemmeno conosciuti dalla cittadinanza.
A lui, invece, niente onori: si discuteva da anni (è morto
nell'83) di intitolargli qualche via cittadina; ora non hanno
trovato di meglio che assegnargli la meno importante, quella in
cui non abita nessuno, al cui indirizzo mai nessun forestiero
spedirà alcunché, che nessuno mai menzionerà.
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Questa è molto peggio di una "damnatio memoriae": è
una leggerezza che ha davvero poco di casuale, è uno sgarbo,
un deliberato oltraggio. Calasso è stato uno dei capi delle lotte
per l'assegnazione del latifondo dell'Arneo, ma oggi questo non importa
più a nessuno; molti tra i più fortunati, che ebbero un
appezzamento a poca distanza dal mare, si godono ora una bella casa
per la villeggiatura costruita su quel suolo, altro che lotte contadine!
In una società in cui anche il "povero" ha in casa
due telefonini a persona, tre o quattro televisori e due auto in garage,
l'avvilente collocazione riservata a Calasso nella toponomastica copertinese
è passata completamente sotto silenzio e nell'indifferenza assoluta.
Questo è un sito di passeggiate in bicicletta... Bene, talvolta
una bella pedalata può servire a scaricare, anche solo per un
po', la rabbia e l'indignazione suscitate da porcherie come questa;
un po' d'aria pura e quattro passi fuori da Copertino ci possono distogliere
per un po' da propositi bellicosi che pure sarebbero legittimi.
Finiamo il giretto giusto in tempo per notare un'altra stranezza: la
via che, diramandosi da via Bengasi (strada di Carmiano), passa dietro
all'Ospedale, fino a giungere sulla circonvallazione, all'inizio del
cavalcavia ferroviario in zona "Spezzaferri". Un tempo era
chiamata "via vecchia Monteroni", un bel nome che ricordava
la funzione storica di questa strada, tanto più oggi che a Monteroni
non ci arriva più. Poi negli anni '90 divenne "via Spezzaferri",
un nome con il quale la si è voluta ulteriormente caratterizzare
nel quadro della storia locale da recuperare. Bene. A distanza di pochi
anni, la storia e le tradizioni locali, così tanto sbandierate,
sono state mandate a farsi benedire perché la via in questione
è stata nuovamente ridenominata "via L. Sturzo". Ora,
una persona intelligente prova quantomeno a chiedersi quale impellente
bisogno ci sia stato di cambiare nuovamente il nome ad una strada già
ribattezzata - con scelta felice - pochissimi anni prima.
La probabile verità la intuiamo in molti, e chi avesse bisogno
di un indizio è autorizzato a sospettare che la nuova denominazione
facesse piacere a qualche residente... La prossima volta nella commissione
cittadina per la toponomastica stradale vorrei esserci anch'io, così,
in modo altrettanto arbitrario, farei sì che anche la via in
cui abito io mutasse la propria antica denominazione in qualcosa di
più "trendy" e/o confacente al mio gusto personale:
che ne dite di "via Michel Platini"? Ma soprattutto mi chiedo:
stavolta non c'era a disposizione un'altra viuzza anonima, magari sita
in estrema periferia e deserta di abitanti (come via G. Calasso) per
il pur simpatico don Sturzo? No???
Lasciamo
per un po' Copertino per non far progredire l'ulcera nervosa e andiamo
a prendere una boccata d'aria fresca verso il mare, magari in bicicletta!
Speriamo di trovare qualcosa di meno subdolo e di più esilarante!
A Porto Cesareo, dopo decenni di nomi di vie provvisori come "146",
"89", "O1", "U2" (l'unico nome di senso
involontariamente compiuto!), eccetera, si è finalmente cominciato
ad assegnare dei nomi specifici. Andiamo in zona "Culacchiu"
e da lì saliamo verso l'interno, dove hanno pensato bene di utilizzare
i nomi di papi famosi, più o meno santi; troviamo pertanto "via
San Alessandro I" (ma in italiano non si dice "Sant'Alessandro"?).
Poi, più in alto, una nutrita schiera di insigni filosofi di
tutte le epoche. Alcuni riportati con l'iniziale del nome di battesimo
ed il cognome... e fin qui va bene! Altri, invece, con il cognome prima
e il nome dopo, come sui verbali dei carabinieri: "via Loke John"
(oltretutto si scrive Locke), "via Spinoza Baruch", "via
Bacone Francesco"! E' come se scrivessimo "Alighieri Dante",
"Bonaparte Napoleone", "Mazzini Giuseppe"!
Poi,
salendo ancora, l'arte degli eruditi estimatori di "Loke John"
raggiunge le sue vette: come documentato nelle foto, troviamo perle
come "via Occam Guglielmo di (Occam)" e "via san Tommaso
d'Acquino", con tanto di "C" prima della "Q"!!!
Sarà la consonanza (presunta) con il pure storicamente distante
"Salvo d'Acquisto", saranno sbiaditi e sicuramente stravolti
ricordi dei banchi di scuola, sarà magari un errore del tipografo
che ha impostato il cartello; si possono cercare e magari trovare mille
scusanti, ma fatto sta che nessuno ancora si è accorto o comunque
premurato di rimuovere o correggere la scritta che ogni anno migliaia
di persone del luogo e di turisti possono leggere passando da lì,
non senza scompisciarsi di risate. Ma chi si ostina ancora a dire che
nella zona di Porto Cesareo "mancano i divertimenti"???
Ho
ricevuto questo commento alla pagina di diario sulla toponomastica
stradale. E' firmato dall'amico Valentino De Luca, penna autorevole
della cultura leccese, e lo riporto con piacere:
Caro
Davide,
ho letto tutto d’un fiato il tuo recente pezzo sulla toponomastica
di Copertino; l’ho trovato puntuale e decisamente ironico. Hai
ragione; il pressappochismo, l’incultura e la partigianeria
regnano in quasi tutte le commissioni comunali di toponomastica. Come
non restare di sasso di fronte alla poca considerazione che Copertino
ha riservato all’on. Giuseppe Calasso, al quale anche altri
Comuni limitrofi e della provincia di Lecce dovrebbero intitolare
strade e piazze? Spesso avendo poche idee gli amministratori ricorrono,
come a Porto Cesareo, all’uso dei numeri o ai dizionari di botanica
e di zoologia.
Nella città di Lecce tutto è stato sempre lasciato quasi
al caso; è accaduto di rado che con una cerimonia pubblica
alla presenza della cittadinanza si sia intitolata una strada o una
piazza; probabilmente si è dato spazio alle particolari conoscenze
storico-amministrative, alle decisioni di pochi, forse a qualcuno
dei più “attivi” della commissione di toponomastica,
in verità pressata da molte richieste e da direzioni politiche
pseudo-culturali; senz’altro tutto ratificato dalla maggioranza
dei nostri amministratori ; i cittadini hanno solo letto sulle targhe
e sui cartelli il nome delle vie e delle piazze e, più di prima,
la mente si è annebbiata e spesso è sorta spontanea
la domanda: “E quistu ci era?”.
La domanda non si porrebbe se sotto ogni denominazione ci fosse un
cenno che connotasse a grandi linee i meriti, la qualifica, la certa
origine e in alcuni casi, spesso frequenti di omonimia, il periodo
storico, anche solo il secolo in cui vissero.
Il passante ed il cittadino sarebbero informati e più istruiti;
si darebbe, così, una sollecitazione in più all’approfondimento
culturale e in alcuni casi l’opportunità per ricordare
ad altri i momenti di storia e le grandi personalità del nostro
passato che potrebbero essere, in particolare per i giovani, esempi
di riferimento a valori e situazioni culturali. Accade anche più
di frequente che i nuovi amministratori, chissà perché,
avvertono il profondo bisogno di modificare il nome di una via e di
una piazza e senza la minima cautela di lasciare traccia visibile
del nome precedente, anche con caratteri minuscoli, sotto la nuova
denominazione; forse è anche vero che in alcuni casi diviene
necessario e opportuno modificare alcune denominazioni che i precedenti
amministratori avevano preso sulla spinta di urgenti “opportunità”
e nuovi “adeguamenti” politici e partitici.
Ma, dopo tanti decenni dal “ventennio”, è stato
di pessimo gusto e di particolare miopia storica intitolare nel 2001
una via della nostra città di Lecce a Ettore Muti, uno dei
massimi gerarchi e segretario del PNF, considerato “il prototipo
dell’uomo fascista” nominato verso la fine del 1936 in
sostituzione del salentino Achille Starace e, in verità, morto
nell’estate del 1943 tragicamente in circostanze poco chiare
e poi fatto passare dal regime e da una certa interpretazione storica
come il protomartire fascista. Subito dopo la morte, in diversi comuni
gli intitolarono vie e piazze alle quali si cambiò nome da
subito con l’avvento della Repubblica Italiana; persino nella
cittadina di Salò si affrettarono a cambiar nome ad una via
del centro storico a lui intitolata. Ettore Muti, con nessun legame
col cosiddetto territorio sociale del Salento, ha sicuramente usufruito
della corsia preferenziale spettante al nome di Predappio e ad Ernesto
Alvino al quale con la stessa delibera del 2001, per meriti culturali,
è stata intitolata con un cartello all’altezza dell’Anfiteatro
romano, una via all’interno di piazza Sant’Oronzo, caso
unico nella toponomastica cittadina; a distanza di sei anni i commercianti
che insistono su quel breve tratto della piazza rifiutano con ferma
decisione la nuova denominazione nel rispetto della tradizione delle
proprie aziende: il nome di Ernesto Alvino avrebbe avuto giustamente
e sicuramente più fortuna su un’altra nuova strada di
Lecce! Un ripensamento è probabilmente opportuno! Ma Predappio
a Lecce perché?
Valentino
De Luca

Il ciclista e il cacciatore
8
maggio 2007
Ogni
stagione offre una o più risposte esaurienti al "perché" aver voglia
di andare in bicicletta. La fine dell'estate e l'inizio dell'autunno,
tuttavia, sono forse il massimo, almeno dal mio punto di vista: il clima
non più torrido, le giornate ancora lunghe, i colori autunnali - bellissimi,
inconfondibili - che tingono i paesi e le campagne. Purtroppo, contemporaneamente
a cotanto splendore si apre la stagione venatoria e l'idillio campestre
deve soccombere al rumore degli spari.
Si sarà già capito che non sono né favorevole alla caccia, né minimamente
solidale con i suoi praticanti. Penso che si tratti di un anacronismo,
di un crudele esercizio e per di più di una pratica che permette una
circolazione spropositata e quanto mai pericolosa di armi da fuoco presso
la popolazione civile. Si potrebbero scrivere mille trattati sull'inutilità
e la pericolosità della caccia, perché mille sono le motivazioni che
dovrebbero spingere la ragione umana a rigettare questo abominio. L'aspetto
cruento è sicuramente il più immediato. Ma si obietterà che tutta la
carne delle nostre tavole proviene da animali uccisi, anche se provenienti
da un allevamento. Questo, tuttavia, non implica che si debba tollerare
la presenza di gente che, armi in pugno, imperversa in macchie e campagne
sparando a piacimento. Loro (i cacciatori) lo chiamano il lato "sportivo"
ed "ecologico" di quest'attività... Sì, certo, è davvero
necessario essere un grande talento per sparare un'enorme nuvola di
pallini verso un altrettanto ampio stormo di uccelli! Bisogna proprio
essere degli olimpionici di tiro a segno (spero si colga l'ironia...)!
Quanto all'aspetto "ecologico" della caccia, com'è tenero il
desiderio di contatto con la natura di questi poetici e sensibili uomini
dal fucile in spalla... (ovviamente l'ironia continua!)
Che
ipocrisia: come se la passeggiata in campagna non si potesse fare anche
senza portarsi dietro un'arma (peraltro usandola). Anzi, se queste persone
evitassero di cedere per una volta all'"inebriante" odore della propria
polvere da sparo, magari avrebbero davvero l'occasione di apprezzare
quell'ambiente che finora hanno saputo solo prendere a fucilate.
Sì, è vero, le leggi sono strane... Se io, come pedone o ciclista, mi
avventuro tra i poderi senza fare altro che osservare la natura circostante,
rischio di essere ripreso e/o scacciato per violazione di proprietà,
mentre il cacciatore che, fucile in mano, sconfina da una proprietà
all'altra è autorizzato a farlo dalle leggi vigenti. Questa è l'Italia
(...ma attualmente al governo non ci sono anche i Verdi?!?).
C'è un altro aspetto inquietante che mi atterrisce: l'immane quantitativo
di armi da fuoco più o meno regolarmente detenute in Italia. Ci meravigliamo
della diffusione delle armi in posti come gli Stati Uniti e dei disastrosi
effetti che continua a produrre, ma forse non facciamo caso a quante
volte leggiamo, nelle pagine di "nera" dei giornali, che una vendetta
personale o magari una strage familiare sono state messe in atto a colpi
di fucile (che naturalmente era "regolarmente detenuto", a riprova dell'integrità
morale e/o della sanità mentale dell'omicida in questione o, più
verosimilmente, dell'inesistenza di controlli!). Sarebbe il caso che
in Italia, per inciso terzo produttore mondiale di armi leggere, si
cominciasse ad aprire gli occhi su questo scenario da Far West... Ci
rendiamo conto che un qualunque dirimpettaio, o automobilista-antagonista
potrebbe nascondere da qualche parte un bel fucile da caccia e che non
sono mancati i frangenti in cui questo è stato usato anche nel caso
di futili questioni?
La caccia, però, non è solo prevaricazione e oltraggio alla natura.
E' anche un grave rischio per l'incolumità di uomini innocenti, a partire
dagli stessi praticanti, dato che ogni anno c'è sempre qualcuno di loro
che ci lascia le penne, abbattuto dal "fuoco amico". Per lo stesso motivo,
essa rappresenta un pericolo anche per il ciclista o per il podista
che transita sulle stradine di campagna, circondato dall'antipatico
rumore degli spari, spesso molto vicini. Oddio, ci sarebbero delle leggi
che proibiscono di sparare a poca distanza da strade e ferrovie... ma
siamo così ingenui da credere che le rispettino tutti? Ecco dunque che,
come si diceva all'inizio, il ciclista che aspetta una bella domenica
pomeriggio per ritemprarsi con una bella passeggiata in campagna e che,
appena uscito dalla periferia del proprio paese, riceve la sgradita
sorpresa della presenza di cacciatori attivi nelle vicinanze. Nonostante
tutte le rassicurazioni del caso, provate a convincermi che ci si può
sentire completamente tranquilli e sereni mentre la campagna circostante
pullula di gente armata e risuona di spari ravvicinati!
Cari
amanti della caccia, imparate il vero rispetto della natura cominciando
a non violarla. Provate a mettervi in sella ad una bicicletta
ed a trascorrere le vostre domeniche pomeriggio con uno spirito
diverso, rispettoso non solo degli animali, ma anche degli altri
uomini, e persino di quei colori e suoni che tanto vi affannate
a distruggere.
Per
concludere, ho trovato e vorrei segnalare un bel sito che aiuta
i cittadini in cerca di tutela nei confronti dei vari aspetti
di questo fenomeno:
http://www.cacciailcacciatore.org.
Lo trovo utile, coraggioso, educativo (date, per esempio, un'occhiata
alla sezione delle testimonianze). Un bravo agli autori e a quanti
sono attivi nella campagna contro la caccia, a quanti preferiscono
il canto degli uccelli al suono mortale degli spari.
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La
"cultura" della discarica abusiva
28
marzo 2007
Non
è così difficile incontrare discariche, piccoli o grandi
cumuli di immondizia di vario genere, nelle campagne o persino nell'abitato
dei nostri paesi. Per il ciclista che, come me e come tutti coloro che
si riconoscono nello spirito di questo sito, ama passeggiare sulle strade
di campagna, la funesta visione ha un effetto ancor più dirompente.
Una bella domenica di primavera stiamo pedalando tra gli uliveti, magari
discorrendo dell'amenità del posto, quando un'amabile distesa
di reti e materassi, secchi di plastica, paraurti e gomme d'auto e quant'altro
di obbrobrioso si profila ai nostri occhi, guastandoci non solo il momento,
ma forse l'intera giornata. In alcuni casi, una mano "pietosa"
ha provveduto ad incendiare il tutto, come se così fosse meno
sgradevole e più "igienico" (un copertone bruciato
è più igienico di uno integro? mah!).
Gironzolando mi è capitato anche di vederli all'opera di persona,
questi signori che, pensando bene di liberare la propria casa da oggetti
ormai inutili e quantomai ingombranti, raggiungono con aria circospetta
le campagne e... voilà, si disfano del ponderoso carico rovesciandolo
allegramente su un muretto a secco o in mezzo ai rovi. Emblematico il
caso di un signore che si è liberato di un frigorifero più
alto di lui estraendolo con fare furtivo dal bagagliaio della sua vecchia
Renault, senza accorgersi (inizialmente) della mia presenza; se volete
vi dico anche dov'è stato buttato quel frigo... Credete infatti
che qualcuno l'abbia più rimosso da lì? Al massimo, lo
potrete trovare bruciato!
Il malvezzo è più diffuso di quanto si creda: in certi
casi non si può parlare di discarica, un termine che fa pensare
ad un posto adibito appositamente - magari illecitamente - a quell'uso,
ma si ha a che fare con luoghi eletti in maniera del tutto estemporanea
a pattumiera personale da parte dell'inquinatore di turno: teli di cellophane
qui, un mucchio di materiale di risulta un po' più avanti, e
via dicendo. Ebbene, a ben guardare, piccoli mucchi di immondizia vengono
depositati anche in paese, in terreni di periferia non ancora edificati.
Un'abitudine che, se possibile, è ancor più incivile e
che mi richiama certe storie che racconta chi ha qualche anno in più
di me: decenni fa, quando i servizi igienici nelle abitazioni erano
spesso inesistenti, alcune zone vuote tra le case erano spesso adibite
a "comuni", fogne a cielo aperto in pieno centro cittadino
in cui si scaricavano i liquami e che spesso si trasformavano in focolai
di epidemie. Oggi, mutatis mutandis, questo ancestrale richiamo all'uso
di cloache "personali" (ma ovviamente ubicate su terreni altrui!)
rivive tra le erbacce dei terreni non edificati.
Ma, tornando alle campagne, la cosa che mi colpisce di più nell'avvistare
i mucchi di rifiuti è la frequentissima presenza di uno o più
CESSI che con il bianco della loro ceramica non possono non spiccare
nel mezzo di quei pattumi informi. Cessi di tutte le fogge e dimensioni,
sicuri indicatori della presenza di una discarica, fieri vessilliferi
della cloaca e testimonianza viva dell'imbecillità umana. Cessi
sotto i cavalcavia delle superstrade, cessi ai margini delle periferie
dei paesi, cessi a bordo strada e cessi troneggianti su cumuli di macerie
in mezzo alle campagne. Mi chiedo: ma questi signori lo sanno che per
i gabinetti, così come per bidet, frigoriferi, televisori, lavatrici
ci sono servizi appositi e gratuiti di smaltimento? Hanno mai pensato
che, al massimo, potrebbero fare a pezzi il vecchio water con un comune
martello e, così ridotto nelle dimensioni, buttarlo a mo' di
normale rifiuto? Lor signori lo sanno che siamo nel 2007 e che ogni
volta che uno rinnova il bagno non è autorizzato ad arricchire
quella costellazione di cessi che sta diventando la nostra campagna?
E se proprio non avete altre idee su come procedere allo smaltimento,
vi consiglio di fare un salto a Guagnano a far visita al grande Vincent
Brunetti (prometto di scrivere qualcosa anche su questo artista, appena
ho tempo): lui saprà come far risplendere di nuova vita la vostra
reietta suppellettile, magari piantandovi le margheritine e dimostrandovi
che a questo mondo con pochissimo sforzo si può essere civili
e magari anche un po' poeti.
Ho allestito su questo sito una galleria fotografica di brutture, e
cessi dismessi in particolare, per documentare, se ce ne fosse ulteriore
bisogno, l'incidenza e la portata del fenomeno. In questa pagina ne
do solo un campione, gli altri si possono trovare qui.
Ci
tengo a precisare che parlare dei problemi del territorio non significa,
come temono alcuni, avere voglia di metterlo in cattiva luce, assumere
un atteggiamento denigratorio e disfattista... Significa, piuttosto,
riconoscere i punti dolenti, prenderne coscienza per capire una buona
volta come e dove intervenire.
In genere, una delle argomentazioni più efficaci di quanti, come
me, sono indignati per questo andazzo è: "Ma ci rendiamo
conto della figura che facciamo con i forestieri?". Innegabile,
sacrosanto e pienamente condivisibile. Ma non basta: non dobbiamo progredire
nel nostro senso civico soltanto per compiacere i visitatori ed evitare
le figuracce, ma dobbiamo far sì che certe forme di civiltà
entrino e si consolidino nella nostra sensibilità SEMPRE, nel
nostro interesse prima ancora che in quello altrui, per il decoro di
quanti vivono qui 365 giorni all'anno e non possono più tollerare
il continuo scempio che si fa del nostro ambiente.

Cicloturismo
sulla via San Cosimo
24
marzo 2007
Sono
sempre stato attratto dalle strade che, partendo dalla periferia dei
paesi, si inoltrano verso le campagne dando però l'impressione
di "saperla lunga", cioè di non interrompersi dopo
poche centinaia di metri. E la domanda che
spesso mi sono fatto è: "chissà dove va a finire".
Sono strade che spesso collegano fra loro paesi vicini, ma sono poco
frequentate dagli automobilisti... insomma, l'ambiente ideale per il
cicloamatore che cerca la tranquillità e non si lascia spaventare
da qualche buca nell'asfalto!
Da Copertino si dipartono diverse strade di questo genere, la più
nota delle quali, forse, è la via vecchia Copertino - Leverano,
di cui si parla diffusamente a proposito del relativo
percorso.
Qui, però, vorrei parlare brevemente di via San Cosimo, la via
cittadina che inizia dall'incrocio per Galatina e si inoltra verso la
periferia in direzione sud-est, lungo un antico tracciato che un tempo
raggiungeva Soleto. Come si può vedere visitando i percorsi presenti
su questo sito, partendo da via San Cosimo e svoltando nei punti opportuni
si possono raggiungere Santa Barbara, Nardò, Collemeto, Galatina,
ma anche San Donato, Lequile, San Pietro in Lama. Insomma, un modo semplice
e tranquillo per uscire dal paese senza essere costretti a percorrere
le strade provinciali.
La
strada prende nome dall'omonima cappella rurale, segno di un'antica
devozione per i Santi Medici. Naturalmente non stiamo parlando
della parrocchia istituita negli anni '90 in zona "Sciarpo"
(molti ancora tendono a confondere i due edifici), ma di una piccola
costruzione votiva risalente a qualche secolo fa. Ricordo che
ancora nei primi anni '80, quando lì intorno non c'erano
tutte le case che ci sono adesso, questo era uno dei luoghi che
i bambini della zona raggiungevano con scassatissime biciclette
nei pomeriggi di primavera per farne lo scenario dei propri giochi.
Ricordo vari tipi di piante selvatiche, praticamente erbacce,
che erano ritenute commestibili in alcune loro parti, e si riusciva
persino ad assaporare il nettare di alcuni fiori!
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Sui dintorni della cappella giravano le classiche voci di "acchiatura",
peraltro confermate (le voci, mica l'acchiatura!) da chi è più
in là con gli anni. Sulla parete di fondo della cappella era
appeso un quadretto dei cinque Santi Medici (Cosimo, Damiano, Antimo,
Euprepio, Leonzio), uno di quelli dozzinali, stampati in serie, venduti
in gran numero presso il santuario di Oria; l'ho ritrovato appeso in
vari altri posti, identico. Questo era quasi completamente bruciato,
da sotto, come se qualche devoto/a troppo solerte avesse dato luogo
ad una fiammata troppo alta, o troppo vicina, con il suo cero votivo.
Tornai pochi anni dopo, nell'85 credo, e trovai la cappella trasformata:
intonacata all'interno, senza più il quadretto bruciacchiato,
ma con il soggetto di quel quadro riprodotto - ingrandito - sulla parete
di fondo mediante affresco. I nomi dei santi, scritti a caratteri cubitali
sotto ogni figura, completavano, e completano tuttora, quella rappresentazione
forse un po' ingenua e così palesemente in linea con l'atavico
uso di rinnovare periodicamente gli affreschi delle cappelle di strada.
Sarebbe interessante, e probabilmente anche facile, riuscire a conoscere
chi si è occupato di quel restauro, prima che se ne perda memoria.
Un'altra cosa che non ricordo è se il riassetto dell'aspetto
esterno (oggi la cappella è completamente intonacata), forse
una sorta di ricostruzione che ha fatto perdere il ricordo dell'aspetto
originale, sia avvenuto in quello stesso periodo, o successivamente.
Fatemi avere notizie!

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